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COVID19/SARS-CoV2, UN'EMERGENZA SANITARIA MONDIALE CHE TUTTI DOBBIAMO COMPRENDERE E GESTIRE. La conoscenza come difesa della salute pubblica

Centers for Disease Control and Prevention (CDC) Alissa Eckert , MS; Dan Higgins, MAMS. 2020 INTRODUZIONE Nelle ultime s...

martedì 19 maggio 2020

COSA SAPPIAMO AD OGGI DELLA POSSIBILE ASSOCIAZIONE TRA COVID-19 E MALATTIA DI KAWASAKI-SIMILE/PMSI


I dati epidemiologici collezionati in questi mesi hanno evidenziato uno scarso interessamento della popolazione pediatrica nella pandemia COVID-19. Gli individui di età inferiore ai 18 anni, non solo sono meno suscettibili all’infezione da parte di SARS-CoV2, ma tra i casi positivi vi è una maggiore proporzione di asintomatici o paucisintomatici rispetto alla popolazione adulta; le forme gravi sono rare e, conseguentemente, la letalità è estremamente bassa.

Nonostante il quadro clinico della COVID-19 nei bambini sia abbastanza tranquillizzante, nelle ultime settimane la comunità scientifica ha iniziato ad interrogarsi su una possibile relazione tra l’infezione da SARS-CoV2 e l’incremento dell’incidenza di una malattia simile a quella di Kawasaki. Nelle relazioni scientifiche si parla spesso di malattia Kawasaki-simile per evidenziare alcune differenze nei sintomi e nei segni rispetto alla malattia di Kawasaki. Proprio considerando tali differenze, il Royal College of Paediatrics and Child Health ha proposto di denominare diversamente la sindrome che sembra essere associata a COVID-19, chiamandola “sindrome infiammatoria pediatrica multisistemica (PMIS, dall’inglese “Pediatric Multisystem Inflammatory Syndrome”) temporaneamente associata a COVID-19” [1].

Data la rarità della malattia di Kawasaki, l'aumento dell’incidenza di una malattia ad essa simile nel corso della pandemia ha portato ad ipotizzare un nesso causale tra l’infezione da parte di SARS-CoV2 e la sua comparsa.

MALATTIA DI KAWASAKI
La malattia di Kawasaki è una forma rara di vasculite pediatrica, che interessa in particolare la fascia d’età compresa tra 1 e 8 anni, le cui complicanza più grave è rappresentata dalla presenza di aneurismi delle arterie coronarie. L’aneurisma è una condizione molto rara, ma le manifestazioni della malattia sono prevalentemente a carico del cuore, comprendendo endocardite, miocardite e pericardite. Possono presentarsi, pertanto, aritmie e insufficienza cardiaca. Tuttavia, non è insolito che siano coinvolti anche altri organi. Inoltre, in fase acuta di malattia, possono verificarsi una sindrome da shock della malattia di Kawasaki (KDSS, dall'inglese Kawasaki disease shock syndrome) o una sindrome da attivazione dei macrofagi (MAS, dall'inglese macrophage activation syndrome) [2,3].
Secondo i criteri diagnostici della American Heart Association, esistono due forme della malattia di Kawasaki: classica e incompleta [4].
L’eziologia della malattia di Kawasaki è ancora sconosciuta, ma alcune evidenze hanno suggerito che la causa possa essere un’infezione che scatena una risposta immunitaria anomala in soggetti geneticamente predisposti [5].

Cos’è un aneurisma?
L’aneurisma è una dilatazione anormale di un punto della parete di un’arteria. Essa è causata da un processo infiammatorio cronico che causa un danno alla parete dell’arteria e un suo conseguente indebolimento. La dilatazione del vaso nel punto in cui l’infiammazione produce il maggior danno è dovuta al tentativo di garantire il flusso di sangue. Infatti, solitamente l’infiammazione tende ad aumentare lo spessore della parete dell’arteria, producendo la riduzione del calibro del vaso. Allo stesso tempo, nella parete dell’arteria soggetta al processo infiammatorio avviene una progressiva deposizione di tessuto cicatriziale che la rende molto meno elastica. Proprio a causa di questo, quando si forma l’aneurisma, la parete dell’arteria rischia di rompersi provocando un’emorragiapotenzialmente letale.

Cos’è la KDSS?
La KDSS è una sindrome caratterizzata da ipotensione e disordini della perfusione sanguigna periferica che conducono verso uno stato di shock. La KDSS può avere diversi decorsi clinici, che diventano gravi quando si associa a danni delle arterie coronarie o a disfunzioni multi-organo causati da un esteso stato infiammatorio.

Cos’è la MAS?
LA MAS è una sindrome che si manifesta in diverse malattie, tra cui la malattia di Kawasaki, ed è caratterizzata da febbre alta, linfoadenopatia, epatosplenomegalia (ingrossamento di fegato e milza), talvolta con emorragie e coinvolgimento di sistema nervoso centrale e rene. La forma più severa della sindrome porta ad insufficienza multi-organo. A livello cellulare, la sindrome è caratterizzata da una iper-attivazione dei macrofagi e dei linfociti T (cellule del sistema immunitario).

Le evidenze scientifiche testimoniano un ruolo di alcuni specifici difetti genetici e dell’infiammazione nello sviluppo della MAS. I due fattori possono anche agire in sinergia, per cui può esservi una predisposizione genetica a sviluppare un’iper-infiammazione ed in particolare una iper-risposta dei macrofagi

I CASI RIPORTATI DI MALATTIA KAWASAKI-SIMILE/PMIS
In Italia, ad oggi, sono stati riferiti dieci casi di malattia Kawasaki-simile, tutti a Bergamo e durante il picco della pandemia (dal 18 febbraio al 20 aprile). In particolare, i casi sono stati registrati tutti tra marzo ed aprile. L’incidenza mensile della malattia di Kawasaki è stata così calcolata essere 30 volte superiore a quella dei cinque anni precedenti.
Tra i dieci casi riportati, la metà presentava la forma classica della malattia di Kawasaki e l’altra metà la forma incompleta. Allo stesso tempo, però, erano presenti anche altri sintomi e segni non tipicamente associati alla malattia di Kawasaki. Solo due dei dieci pazienti erano positivi al test molecolare per SARS-CoV2 al momento della valutazione clinica. Successivamente, ad aprile, con la disponibilità dei test sierologici, per tutti i pazienti è stata valutata la presenza degli anticorpi IgM e IgG. Tra i pazienti, otto avevano sviluppato IgG per SARS-CoV2, mentre le IgM erano negative in tutti i casi [6].

I casi rilevati a Bergamo sono pochi, ma si uniscono ad altre osservazioni simili effettuate nel resto del mondo. La prima relazione scientifica disponibile sull’argomento (pubblicata il 7 aprile) ha riportato il caso, negli USA, di una bambina di sei mesi positiva per infezione SARS-CoV2, con una forma lieve di COVID-19, e precedentemente sana [7]. Altri casi sono stati riferiti negli Stati Uniti nel corso dell’ultimo mese [8, 9].
Casi di associazione COVID-19 e malattia Kawasaki-simile sono stati identificati anche nel Regno Unito e in Francia [10]. Oltre a forme critiche nelle quali si sono manifestati shock, infiammazione multisistemica e talvolta aneurismi delle arterie coronarie, sono stati descritti casi meno gravi [11, 12].

POTREBBE ESISTERE UN LEGAME TRA COVID-19 E MALATTIA DI KAWASAKI-SIMILE/PMIS?
Stabilire che esiste un’associazione, e ancora di più un nesso causale, tra due patologie è un processo che richiede di collezionare un elevato numero di casi e di effettuare diversi tipi di analisi statistiche. La rarità della malattia di Kawasaki e il fatto che i bambini non siano molto suscettibili all’infezione di SARS-CoV2 non consente di collezionare un adeguato numero di casi da studiare in tempi brevi. Nonostante ciò, il fatto che casi simili siano stati riferiti in diversi Paesi nello stesso periodo è un fattore che depone a favore dell’ipotesi dell’associazione tra le due malattie. Per giungere ad una conclusione con un discreto grado di certezza è necessario attendere gli sviluppi futuri degli studi.
Al momento, perciò, siamo nel regno delle ipotesi, a partire dal fatto che non esiste certezza neanche per l’eziologia della malattia di Kawasaki. Come detto precedentemente, è stato ipotizzato che le infezioni possano avere un ruolo in individui geneticamente predisposti per lo sviluppo della malattia di Kawasaki.

Ma come potrebbe eventualmente il virus SARS-CoV2 indurre lo sviluppo di una malattia Kawasaki-simile?
Per rispondere a questa domanda è opportuno ricordare che, analizzando le caratteristiche biochimico-cliniche dei pazienti COVID-19, è emerso che negli adulti con le forme severe di malattia si verifica la cosiddetta “tempesta di citochine”. Quest’ultima è una reazione immunitaria caratterizzata da altissimi livelli di citochine e coinvolge i globuli bianchi. L’attivazione a catena delle citochine induce un’iper-attivazione del sistema immunitario e conseguentemente una costellazione di sintomi tipici di uno stato infiammatorio sistemico (cioè che interessa tutto l’organismo), e causa danni tali da portare anche alla morte dell’individuo [13].

La tempesta di citochine può essere considerata tanto un meccanismo patogenetico quanto un gruppo di disordini ad eziologia infiammatoria. La MAS, che può verificarsi anche nella malattia di Kawasaki, è considerata una forma di tempesta di citochine, ad esempio [14, 15].
Poiché la tempesta di citochine mantiene uno stato infiammatorio sistemico, essa ha effetti anche a livello vascolare e circolatorio, causando alterazioni dell’endotelio (il tessuto epiteliale che riveste internamente la parete dei vasi sanguigni e linfatici, così come quella del cuore) e iper-coagulazione [16].
Gli effetti della tempesta di citochine attivata in risposta all’infezione virale potrebbero, perciò, spiegare l’eventuale associazione tra COVID-19 e malattia di Kawasaki-simile. Producendo un’infiammazione sistemica, la tempesta di citochine potrebbe dare luogo ai sintomi della malattia di Kawasaki perché causa danni a diversi organi e apparati, compreso quello cardiocircolatorio.

Concludiamo volendo porre l’attenzione su alcune questioni rilevanti al fine di non creare allarmismo tra i genitori. La prima è che al momento non vi è certezza dell’associazione, ma solo un’ipotesi; la seconda è che, fortunatamente, i bambini sono poco suscettibili all’infezione da SARS-CoV2, pertanto la probabilità che si sviluppi una condizione rara come la malattia Kawasaki-simile/PMIS è estremamente bassa (probabilmente non interessa più di 1 bambino su 1000 tra quelli esposti al virus SARS-CoV2) [6]; in ultimo, il fatto che la comunità scientifica abbia prontamente portato alla luce tale eventualità aumenta la possibilità di diagnosticare precocemente eventuali casi di malattia Kawasaki-simile/PMIS e di intervenire rapidamente con la terapia.

REFERENZE
  1. Royal College of Paediatrics and Child Health. Guidance - Paediatric multisystem inflammatory syndrome temporally associated with COVID-19, 2020, 5 May.
  2. Kanegaye JT, Wilder MS, Molkara D, Frazer JR, Pancheri J, Tremoulet AH, Watson VE, Best BM, Burns JC. Recognition of a Kawasaki disease shock syndrome. Pediatrics. 2009; 123:e783-e789
  3. Wang W, Gong F, Zhu W, Fu S, Zhang Q Macrophage activation syndrome in Kawasaki disease: more common than we thought?. Semin Arthritis Rheum. 2015; 44:405-410
  4. McCrindle BW, Rowley AH, Newburger JW et al. Diagnosis, treatment, and long-term management of Kawasaki disease: a scientific statement for health professionals from the American Heart Association. Circulation. 2017; 135:e927-e999
  5. Rowley AH. Is Kawasaki disease an infectious disorder?. Int J Rheum Dis. 2018; 21: 20-25.
  6. Verdoni L, Mazza A, Gervasoni A, et al. An outbreak of severe Kawasakilike disease at the Italian epicentre of the SARS-CoV-2 epidemic: an observational cohort study. Lancet 2020; published online May 13.
  7. Jones VG, Mills M, Suarez D, Hogan CA, Yeh D, Bradley Segal J, Nguyen EL, Barsh GR, Maskatia S, Mathew R. COVID-19 and Kawasaki disease: novel virus and novel case. Hosp Pediatr. 2020
  8. Rivera-Figueroa EI, Santos R, Simpson S, Garg P. Incomplete Kawasaki Disease in a Child with Covid-19. Indian Pediatr. 2020 May 9. pii: S097475591600179.
  9. New York City Health Department 2020 Health Alert #13: Pediatric Multi-System Inflammatory Syndrome Potentially Associated with COVID-19 2020
  10. Schroeder AR, Wilson KM, Ralston SL. COVID-19 and Kawasaki Disease: Finding the Signal in the Noise. Hosp Pediatr. 2020 May 13. pii: hpeds.2020-000356.
  11. Riphagen S, Gomez X, Gonzalez-Martinez C, Wilkinson N, Theocharis P. Hyperinflammatory shock in children during COVID-19 pandemic. Lancet. 2020; pii:S0140-6736(20)31094-1.
  12. Viner RM, Whittaker E. Kawasaki-like disease: emerging complication during the COVID-19 pandemic. Lancet. 2020 May 13.
  13. Mehta P, McAuley DF, Brown M, Sanchez E, Tattersall RS, Manson JJ. COVID-19: consider cytokine storm syndromes and immunosuppression. Lancet. 2020; 395:1033-1034
  14. Schulert GS, Grom AA. Macrophage activation syndrome and cytokine-directed therapies. Best Pract Res Clin Rheumatol. 2014; 28:277-92.
  15. McGonagle D, Sharif K, O'Regan A, Bridgewood C. The Role of Cytokines including Interleukin-6 in COVID-19 induced Pneumonia and Macrophage Activation Syndrome-Like Disease. Autoimmun Rev. 2020; 19:102537.
  16. Sardu C, Gambardella J, Morelli MB, Wang X, Marfella R, Santulli G. Hypertension, Thrombosis, Kidney Failure, and Diabetes: Is COVID-19 an Endothelial Disease? A Comprehensive Evaluation of Clinical and Basic Evidence. J Clin Med. 2020; 9(5). pii: E1417.

sabato 9 maggio 2020

Nuovi passi avanti nella creazione di biosensori per la detection di SARS-COV-2

La pandemia che stiamo vivendo, causata dal Coronavirus SARS-CoV2 (ne abbiamo ampiamente parlato qui) e che porta alla malattia respiratoria COVID-19, rappresenta la terza pandemia su larga scala causata dai Coronavirus negli ultimi due decenni dopo la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) nel 2003 e la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) nel 2012. In una situazione in cui ci sono centinaia di migliaia di morti, senza dubbio l'identificazione rapida e accurata dell’agente infettivo può contribuire notevolmente a controllare una pandemia emergente. Ad oggi ottenere una diagnosi di laboratorio affidabile è stata una delle principali priorità per la promozione della prevenzione e del controllo delle epidemie.

Il metodo molecolare utilizzato per la rilevazione del virus è la rRT-PCR e l’Organizzazione mondiale della Sanità ha pubblicato l’elenco di diversi saggi molecolari basati su questa tecnica. I target genici per i saggi molecolari rRT-PCR selezionati da diversi Paesi sono simili, tra cui la sequenza RNA-polimerasi RNA-dipendente (RdRp) e la sequenza di lettura aperta 1ab (ORF1ab) (ne abbiamo parlato qui).

Nonostante la rRT-PCR sia una tecnica altamente specifica e sensibile, a volte i test rRT-PCR per il rilevamento di SARS-CoV2 hanno riportato risultati falsi negativi su casi di infezione confermati [1]. I risultati falsi negativi possono presentarsi per diverse ragioni, sia tecniche (ad es. tampone mal eseguito, problemi di estrazione dell'RNA, etc), sia cliniche (tampone eseguito in fasi dell'infezione in cui il numero delle particelle virali è troppo basso per rilevarne la presenza). Pertanto, è vantaggioso sviluppare altri sistemi diagnostici affidabili, che siano o meno complementari alla rRT-PCR.

I biosensori sembrano una tecnologia adatta a fornire una soluzione alternativa affidabile per diagnosi clinica, rilevazione in tempo reale e monitoraggio continuo

Cosa sono i biosensori?
I biosensori sono dei sistemi analitici che servono per rivelare una molecola (analita) attraverso l’ausilio di una componente biologica (biorecettore) accoppiata ad un trasduttore chimico-fisico (sensore), dove per trasduttore si intende un sistema chimico fisico in grado di convertire un segnale fisico di input in un'altra grandezza fisica di output (Fig.1).

Fig.1 Schema di un biosensore.

Riportiamo qui due studi relativi a due tipi di biosensori diversi.

PRIMO STUDIO: BIOSENSORE LSPR E PPT

Il gruppo di Jing Wang di Zurigo ha pubblicato un lavoro [2] in cui propone una tecnologia in cui vengono combinati due fenomeni: effetto ottico ed effetto termico. Il sistema si basa su un sensore costituito da una superficie di vetro ricoperta da un sottile strato (nano-film) di oro sulla quale si legano dei tioli (composti chimici contenenti carbonio, idrogeno e zolfo) a cui sono attaccate delle sequenze geniche artificiali in grado di riconoscere in modo specifico i geni del SARS-CoV2 (Fig.2). Se il materiale genetico del virus si lega alle sequenze geniche artificiali si conferma la presenza del virus nel campione analizzato tramite un fenomeno ottico.
Il fenomeno ottico sfruttato è quello della risonanza plasmonica di superficie localizzata (LSPR): quando le molecole del virus legano in modo specifico i recettori sulla superficie d’oro, essi modulano la loro luminosità che viene rilevata da un sensore. L’effetto termico fa riferimento al l’effetto fototermico plasmonico (PPT): il calore generato aumenta l’affidabilità del sensore perché grazie a processi chimici permette di selezionare e identificare il genoma del Coronavirus in modo specifico.
L’effetto termico sfrutta il principio di ibridazione DNA-RNA; tecnica alla base di rRT-PCR e in vari sensori biomedici.

Che cos'è l'ibridazione DNA-RNA?
DNA ed RNA sono formati da filamenti a loro volta costituiti da nucleotidi legati l'uno all'altro. Ciascun nucleotide è uno zucchero legato a una base azotata tra le quattro possibili: adenina (A), guanina (G), citosina (C) e timina (T) se si tratta di DNA o uracile (U) se si tratta di RNA. Le basi presenti su due diversi filamenti di acido nucleico possono appaiarsi secondo il principio di complementarietà (ed è così che il DNA forma la caratteristica doppia elica). Ovvero A sarà sempre legata a T (o U se si tratta di RNA) e G a C.
L'ibridazione degli acidi nucleici consiste proprio nell'appaiamento di due diversi filamenti di RNA-DNA basandosi sul criterio dell'interazione specifica (principio di complementarietà). L'appaiamento di un filamento di acido nucleico con il suo filamento complementare porta alla formazione di un doppio filamento. Il processo inverso, mediante il quale un doppio filamento si divide nei singoli filamenti, si chiama fusione.

Due filamenti complementari possono ibridarsi in modo specifico tra loro quando la temperatura è leggermente inferiore alla loro temperatura di fusione. A temperature più basse aumentano le ibridazioni aspecifiche, mentre aumentando il calore (fino alla temperatura di fusione) invece aumenta la selettività. Questo è esattamente l'effetto PPT generato dall'aumento della temperatura ambiente.
In questo lavoro viene quindi descritto un unico sensore che però sfrutta due angoli di incidenza diversi, le risonanze plasmoniche di PPT e LSPR che possono essere eccitate a due diverse lunghezze d'onda, il che ha migliorato significativamente la stabilità, la sensibilità e l'affidabilità del rilevamento. Con questa configurazione, l'unità di rilevamento LSPR ha ottenuto un rilevamento in tempo reale e label-free delle sequenze virali (tra cui RdRp-COVID, ORF1ab-COVID e geni E da SARS-Cov-2).
Questo tipo di biosensore presenta un'alta sensibilità verso le sequenze SARS-CoV-2 selezionate ed ha come limite di rilevazione la concentrazione del DNA virale di 0,22 pM, consentendo il rilevamento preciso del target specifico in una miscela di più geni.
Ad oggi, comunque, il sistema va ancora perfezionato e non è ancora disponibile come test alternativo.


Fig.2 Illustrazione schematica del biosensore. A. Funzionalizzazione del nanofilm di oro basata sulla reazione con ligandi tiol-cDNA; B. Ibridazione di due filamenti complementari; C. Ibridazione inibita di due sequenze parzialmente abbinate. Le frecce blu indicavano le basi non corrispondenti di RdRp-SARS e cDNA funzionalizzato di RdRp-COVID.

Che cos’è LSPR?
LSPR è l’acronimo che sta per Risonanza Plasmonica di Superficie Localizzata e rappresenta una metodica spesso utilizzata per misurare interazioni molecolari in tempo reale. Si basa sul cambiamento dell’indice di rifrazione (una grandezza adimensionale che quantifica la diminuzione della velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica quando attraversa un materiale) sulla superficie di un sensore, provocato da un’alterazione dovuta al legame tra due molecole che interagiscono

Cos’è il PPT?
PPT sta per Effetto Fototermico Plasmonico ed è una metodica che comporta la rapida conversione della luce in calore, da parte di nanoparticelle plasmoniche

SECONDO STUDIO: BIOSENSORE FET

Un gruppo di ricercatori coordinati dai professori Edmond Changkyun Park e Seung Il Kim propone in un lavoro [3], pubblicato a metà aprile, un biosensore basato sul FET per rilevare SARS-CoV2 direttamente dal tampone rino-faringeo, senza necessità di trattare il campione biologico prima di analizzarlo come avviene per i metodi tradizionali.

FET sta per Transistor a Effetto di Campo e si tratta di un dispositivo a semiconduttore largamente usato in elettronica. Tra i molti metodi diagnostici attualmente disponibili, i dispositivi di biosensing basati su FET presentano numerosi vantaggi, tra cui la possibilità di effettuare misurazioni altamente sensibili e istantanee utilizzando piccole quantità di campione nell’analisi.Uno degli elementi chiave del biosensore è il grafene: materiale costituito da uno strato monoatomico di atomi di carbonio disposti a esagono. Il grafene è un materiale molto utile per il rilevamento grazie alle sue straordinarie proprietà elettrochimiche, tra cui l'elevata conducibilità elettronica, mobilità del trasportatore e un'ampia area specifica. I biosensori FET a base di grafene sono in grado di rilevare i cambiamenti sulla loro superficie e fornire un ambiente ottimale per il rilevamento ultrasensibile.

Il sensore presentato nello studio è stato prodotto immobilizzando l'anticorpo per la proteina Spike SARS-CoV2 ai fogli di grafene di cui è costituito il FET. Quando l'anticorpo immobilizzato lega la proteina Spike del Coronavirus, che indica la positività del campione e dunque la presenza dell'infezione, avviene un cambiamento nella corrente elettrica. Questi cambiamenti elettrici sono misurati da un analizzatore di semiconduttori e da una stazione di sonda. La sensibilità arriva a rilevare fino 1 fg/ml (femtogrammo/millilitro, 10-15 gr/ml) di virus.

Ricordiamo che la proteina Spike del virus è quella che si lega al recettore ACE2 delle cellule umane, gli permette di attraversare la membrana cellulare e entrare all'interno, iniziando l'infezione ne abbiamo parlato qui).
Ciò nonostante, allo stato attuale dello sviluppo, il test risulta meno sensibile rispetto alla tradizionale rRT-PCR, e dovrà essere ulteriormente perfezionato prima dell'eventuale immissione in commercio.


REFERENZE
  1. Xie X, Zhong Z, Zhao W, Zheng C, Wang F, Liu J. Chest CT for Typical 2019-nCoV Pneumonia: Relationship to Negative RT-PCR Testing. Radiology. February 2020:200343. doi:10.1148/radiol.2020200343
  2. Qiu G, Gai Z, Tao Y, Schmitt J, Kullak-ublick GA, Wang J. Dual-Functional Plasmonic Photothermal Biosensors for Highly Accurate Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2 Detection. 2020. doi:10.1021/acsnano.0c02439
  3. Seo G, Lee G, Kim MJ, et al. Rapid Detection of COVID-19 Causative Virus (SARS-CoV-2) in Human Nasopharyngeal Swab Specimens Using Field-E ff ect Transistor- Based Biosensor. 2020. doi:10.1021/acsnano.0c02823

sabato 18 aprile 2020

COVID-19 associata alla gravidanza: dati e raccomandazioni

La pandemia causata da SARS-CoV2 (Severe acute respiratory syndrome coronavirus 2) ha esposto le popolazioni vulnerabili a una crisi sanitaria globale senza precedenti. Le conoscenze acquisite da precedenti focolai di Coronavirus umano, in particolare SARS-CoV (Severe acute respiratory syndrome coronavirus) e MERS-CoV (Middle East respiratory syndrome coronavirus), suggeriscono che le donne in gravidanza e i loro feti siano soggetti particolarmente a rischio1,2.

I cambiamenti fisiologici che si verificano durante la gravidanza, come per esempio le alterazioni dell'immunità cellulare mediata, rendono la madre più vulnerabile alle infezioni gravi3. Cambiamenti anatomici come l’aumento del diametro trasversale della gabbia toracica, del volume polmonare e del livello del diaframma, così come  la vasodilatazione, diminuiscono la tolleranza materna all'ipossia e possono portare a edema della mucosa e aumento delle secrezioni del tratto respiratorio superiore 4.

Per quanto riguarda il feto e il neonato, l'immaturità del sistema immunitario innato e adattivo li rende altamente suscettibili alle infezioni5. La disregolazione di fattori come le citochine e la cascata del complemento possono avere conseguenze deleterie sullo sviluppo e sulla funzione del cervello. Tuttavia, nonostante COVID-19 sia nota per causare gravi complicazioni respiratorie potenzialmente letali negli adulti, in particolare negli immunocompromessi, non ci sono dati comparativi per determinare se la gravidanza è un fattore di rischio per la polmonite causata da SARS-CoV26.

I lavori presenti in letteratura hanno tutti il limite di essere stati condotti su un piccolo numero di casi; inoltre la maggior parte delle pubblicazioni non ha utilizzato metodologie qualitativamente accettabili o mostrano dei dati un po’ dubbi.
Zaigham et al.7 hanno condotto una ricerca bibliografica completa utilizzando diversi browsers come MEDLINE, EMBASE e Google Scholar, relativa all’arco temporale che andava dall’8 dicembre 2019 al 4 aprile 2020.. Il gruppo ha identificato 108 donne in gravidanza affette da COVID-19 che presentavano febbre al momento del ricovero (68%). Tosse secca e persistente (34%), malessere (13%) e dispnea (12%) sono sintomi descritti meno comunemente. La diarrea è stata identificata solo in sette casi (6%). Solo un neonato su 75 casi testati è risultato positivo per l'infezione da SARS-CoV-2, mentre altri hanno riportato linfocitopenia (carenza di linfociti) transitoria e test di funzionalità epatica squilibrati o coagulazione intravascolare disseminata. Solo un neonato ha mostrato una rRT-PCR positiva 36 ore dopo la nascita, nonostante fosse stato isolato dalla madre. Questi risultati non possono escludere che il feto e il neonato rispondano, spesso subclinicamente, all'infezione della madre e quindi non si può escludere la trasmissione verticale materno-fetale.

In risposta alle dichiarazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e alle preoccupazioni internazionali riguardanti l'epidemia di coronavirus 2019 (COVID-19), la FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics) ha pubblicato delle linee guida8 per la gestione delle donne in gravidanza affette da COVID19 riassunte in quattro parti:

(1) cure prenatali ambulatoriali nelle cliniche ambulatoriali;
(2) gestione nel contesto del triage ostetrico;
(3) gestione intra-partum;
(4) gestione post-partum e cure neonatali.

Sono state raccolte anche indicazioni sul trattamento medico delle donne in gravidanza con infezione da COVID-19.
Le raccomandazioni raccolte devono essere considerate suggerimenti e potrebbe essere necessario adeguarle all'interno di ciascun centro medico sulla base delle linee guida nazionali locali (se disponibili), bisogni, risorse e limitazioni.

1. Cure ambulatoriali prenatali

Le visite ambulatoriali prenatali devono sicuramente garantire il minimo rischio di trasmissione tra donne in gravidanza, operatori sanitari e altri pazienti in ospedale, ricorrendo alle dovute precauzioni - prime fra tutte l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI).
Per garantire la sicurezza di tutti, è opportuno che tutte le donne che devono recarsi in ambulatorio siano contattate prima della visita e invitate ad andare in clinica senza accompagnatore. In ambulatorio deve essere effettuato uno screening per valutare eventuale esposizione al virus e potenziali sintomi d’infezione. In caso di screening positivo, devono scattare i protocolli d’emergenza e la visita dovrebbe essere rinviata di 14 giorni, a meno che non sia urgente per motivi materni e/o fetali. Nel frattempo, è necessario accertare la diagnosi di COVID-19.
Dopo la diagnosi, se l’infezione COVID-19 è lieve è preferibile ridurre il numero di visite cliniche, sostituendole con monitoraggio a distanza tramite telefonate o videochiamate durante le quali può essere consigliato di controllare la pressione sanguigna. Il monitoraggio deve essere ovviamente rivolto sia alla gravidanza sia all’infezione COVID-19.
Particolare attenzione, però, dovrebbe essere prestata alle donne con comorbidità, soprattutto iperglicemia e ipertensione che sono fattori di rischio noti per il peggioramento del quadro clinico di COVID-19. In questi casi, infatti, si può rendere necessario il ricovero se le condizioni peggiorano.
Sebbene al momento non vi siano prove che l'infezione da COVID-19 sia associata a complicanze del feto o della placenta, fino a quando non saranno disponibili ulteriori dati si consiglia un monitoraggio fetale più attento (tramite ecografia) nelle donne con confermata COVID-19.


2. Presentazione al triage

Quando una paziente si presenta al triage ostetrico o al pronto soccorso per motivi respiratori o ostetrici, deve essere sottoposta a screening che valuti il rischio di esposizione al virus e l’eventuale presenza di sintomi della COVID-19. In caso di screening positivo, la paziente deve essere invitata a indossare la mascherina, posta in isolamento e l’equipe sanitaria dovrebbe prendere le necessarie precauzioni.
Le donne con sintomi lievi e senza fattori di rischio per malattie gravi possono essere dimesse dopo essere state avvisate di monitorare l’eventuale peggioramento della sintomatologia. Le donne con sintomi moderati o gravi, o anche lievi ma con comorbidità, devono sottoporsi a una valutazione più dettagliata. Le decisioni in merito alla gestione di questi casi dovrebbero essere personalizzate in base ai sintomi, ai fattori di rischio e ai risultati della valutazione.

3. Gestione intrapartum e postpartum

Per casi sospetti/probabili/confermati di infezione da COVID-19, il parto dovrebbe idealmente essere condotto in una stanza di isolamento a pressione negativa. Il numero di membri dello staff che si prendono cura della paziente dovrebbe essere il più basso possibile.
I tempi e le modalità del parto dovrebbero essere personalizzati, dipendendo principalmente dallo stato clinico della paziente, dall'età gestazionale e dalle condizioni fetali. Il parto vaginale non è controindicato nei pazienti con COVID-19 sospetti/probabili/confermati.
È possibile richiedere un’assistenza strumentale nella fase espulsiva del parto qualora la funzionalità respiratoria della partoriente sia diminuita. Il parto dovrebbe essere accelerato quando si presentano evidenze di sofferenza fetale, scarsa progressione del travaglio e/o peggioramento delle condizioni materne.
Lo shock settico, l'insufficienza acuta di un organo o la sofferenza fetale sono indicazioni al parto cesareo di emergenza. Per la protezione dell'équipe medica, dovrebbe essere evitato l'uso di piscine per il parto in ospedale, poiché è provata la presenza del virus nelle feci e per l’impossibilità per gli operatori sanitari di utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI) adeguati a proteggersi dal contagio.
Sia l'anestesia locale che l'anestesia generale possono essere prese in considerazione, a seconda delle condizioni cliniche della paziente. L'anestesia locale è preferibile dato il maggior rischio di contagio per il personale in caso di procedure di anestesia generale che inducono la produzione di aerosol (ad esempio l'intubazione). Questo è il motivo per cui la maggior parte delle unità in tutto il mondo sta cercando di evitare il parto cesareo in anestesia generale dove possibile.
Gli embrioni e/o i feti abortiti e la placenta di donne in gravidanza con infezione da COVID-19 devono essere trattati come tessuti infettivi e smaltiti in modo appropriato; se possibile, devono essere eseguiti test di questi tessuti per SARS-CoV2 mediante rRT-PCR.

4. Cure neonatali in donne con infezione COVID-19 sospetta o confermata

Per quanto riguarda la gestione neonatale di casi sospetti, probabili e confermati di infezione materna da COVID-19, il neonato deve essere trasferito nell'area di rianimazione per essere valutato dal team pediatrico. Non ci sono prove sufficienti del fatto che un taglio ritardato del cordone aumenti il rischio di infezione per il neonato attraverso il contatto diretto, ma per il principio di precauzione è opportuno che i medici delle unità in cui si raccomanda il taglio ritardato del cordone valutino attentamente se continuare questa pratica piuttosto che optare per un taglio più rapido. Le precauzioni di contatto e l'uso dei DPI devono essere mantenute durante il periodo postpartum, fino a quando la madre risulta negativa per COVID-19. Al momento non ci sono prove sufficienti sulla sicurezza dell'allattamento al seno e sulla necessità della separazione madre/bambino. Se la madre è gravemente ammalata, l’opzione migliore sembra essere la separazione con tentativi di tirare il latte materno per mantenere la produzione di latte. Ci dovrebbe essere un tiralatte dedicato, accuratamente lavato dopo ciascun pompaggio. Se la paziente è asintomatica o con infezione lieve, l'allattamento al seno e la co-localizzazione (chiamata anche rooming-in) possono essere considerati dalla madre in coordinamento con gli operatori sanitari, o possono essere necessari se le limitazioni della struttura impediscono la separazione madre/bambino. Poiché la preoccupazione principale è che il virus possa essere trasmesso da goccioline respiratorie, piuttosto che dal latte materno, le madri che allattano dovrebbero assicurarsi di lavarsi le mani e indossare una maschera chirurgica a tre strati prima di toccare il bambino. Durante il room-in, la culla del bambino deve essere tenuta ad almeno 2 metri dal letto della madre e può essere utilizzata una barriera fisica come una tenda. In alternativa, si potrebbe chiedere alla madre di tirarsi il latte mentre qualcun altro nutre il bambino. La maggior parte delle visite postpartum può essere condotta in remoto purché la paziente non abbia preoccupazioni specifiche che richiedono un esame di persona. Alcuni tipi di preoccupazioni (riguardanti per esempio il seno e/ o le cicatrici addominali) possono essere valutate anche solo attraverso video o foto. La riduzione del numero di visite può essere utile anche in caso di carenza di operatori sanitari in quanto è possibile che una parte considerevole degli operatori sanitari debba essere isolata a causa di un'esposizione inattesa a COVID-19.

Aspetti psicologici

Le donne in gravidanza, in generale, hanno un rischio maggiore di ansia e depressione. Questa evidenza pone un tema di salute molto rilevante soprattutto durante un’epidemia. Infatti,  i timori legati alla sospetta/probabile/confermata infezione da COVID-19, possono indurre la presentazione di vari gradi di sintomi psichiatrici dannosi per la salute della madre e del feto9. Inoltre, è da considerare anche che la separazione madre/bambino obbligata può rallentare l’instaurazione del legame precoce e ritarda sicuramente l’inizio dell’allattamento al seno (anch’esso una pratica importante nella relazione madre/neonato).  Questi fattori sono inevitabilmente causa di ulteriore stress per le madri nel periodo post-partum. Gli operatori sanitari dovrebbero, perciò, prestare attenzione alla salute mentale delle partorienti, valutandone attentamente i ritmi sonno/veglia, le ragioni di ansia e depressione ed essere tempestivi nel rilevare eventuale ideazione suicidaria. Il supporto psicologico e il consulto psichiatrico, soprattutto perinatale, appaiono quanto mai importanti in questo momento storico.

Attualmente queste sono le informazioni disponibili in merito alla COVID-19 associata alla gravidanza ma sicuramente col passare delle settimane, saranno disponibili ulteriori dati che potrebbero portare a cambiamenti nelle attuali conoscenze e raccomandazioni.



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