Come le Gap junctions fungono da giunzioni comunicanti tra le cellule, così questo blog ha l'obiettivo di fare da connessione tra il mondo scientifico e quello della buona informazione.

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COVID19/SARS-CoV2, UN'EMERGENZA SANITARIA MONDIALE CHE TUTTI DOBBIAMO COMPRENDERE E GESTIRE. La conoscenza come difesa della salute pubblica

Centers for Disease Control and Prevention (CDC) Alissa Eckert , MS; Dan Higgins, MAMS. 2020 INTRODUZIONE Nelle ultime s...

domenica 29 marzo 2020

IL NUOVO CORONAVIRUS NON E' USCITO DA UN LABORATORIO DI WHUAN!

In questi giorni l’opinione pubblica è stata scossa da un video, mandato in onda da TG Leonardo nel 2015, in cui si parlava di un esperimento condotto a Whuan. Quest’ultimo aveva portato alla creazione di una versione ibrida (chimera) tra un Coronavirus di pipistrello e il virus che ha causato la SARS nel 2002-2003 (SARS-CoV1), usato come “spina dorsale”. Il virus creato in laboratorio fu denominato SL-SHC014-MA15.

Chimera
Una chimera nella mitologia greca e romana era un mostro che si presentava con parti del corpo di diversi animali. La chimera, nel nostro caso, è un elemento biologico che presenta derivazioni differenti, quindi parti di materiale genetico di diversa origine. 


Una nota di Nature, la rivista scientifica su cui è stato pubblicato l’esperimento sopracitato, recita: “siamo consapevoli che questa storia viene utilizzata come base per teorie non verificate secondo cui il nuovo coronavirus che causa COVID-19 sia stato progettato in laboratorio (ndr). Non ci sono prove che questo sia vero; gli scienziati ritengono che un animale sia la fonte più probabile del coronavirus.” (Marzo 2020) [1] 

Nello studio condotto a Whuan, i ricercatori hanno voluto esaminare la potenziale trasmissibilità da animali a uomo di un Coronavirus ampiamente circolante nei pipistrelli (chiamato SHC014) e molto simile al virus che causò l'epidemia di SARS del 2003 (SARS-CoV1, ne abbiamo parlato qui). In altre parole, i ricercatori hanno voluto valutare la potenzialità, da parte di questo virus, di effettuare il salto di specie (ne abbiamo parlato qui). Per dimostrare questa potenzialità, gli scienziati hanno generato un virus ricombinante inserendo la proteina Spike (ne abbiamo parlato qui) di SHC014 nel virus SARS-CoV1 adattato per infettare i topi. La scelta dei topi non è casuale, poiché il topo viene frequentemente utilizzato come modello per spiegare alcuni processi biologici umani.

Virus ricombinante
E’ un virus creato in laboratorio inserendo parti genomiche (pezzetti di materiale genetico) di un virus nel genoma di un altro virus ospite. La ricombinazione genetica è un processo naturale che è in parte responsabile della variabilità genetica (nessun individuo, ad eccezione dei gemelli e dei cloni, è identico ad un altro, anche se appartiene alla stessa specie). La biologia molecolare ha appreso dalla natura ad operare questo processo di “taglia e cuci” del materiale genetico e lo ha impiegato per costruire organismi modello o per provare a curare delle malattie. Le tecnologie biomecolari che utilizzano il processo di ricombinazione genetica prendono in generale il nome di “tecniche del DNA ricombinante”. Queste ultime permettono di saldare porzioni di DNA di un organismo a quelle di organismi diversi portando alla produzione di proteine ricombinanti (Fig.1). 

Fig.1 - Schematizzazione delle tecnologie del DNA ricombinante. Unendo pezzi di DNA di organismi diversi si può ottenere un DNA ricombinante.

I risultati dell'esperimento di Whuan hanno indicato che il virus ricombinante riusciva ad entrare nelle cellule utilizzando in modo efficiente il recettore ACE2 (ne abbiamo parlato qui) di diverse specie animali, tra cui l’uomo, e che, nel polmone di topo, riusciva ad avere un elevato potenziale patogenetico. I ricercatori hanno inoltre dimostrato che nessun vaccino sviluppato contro SARS-CoV1 era in grado di dare una risposta immunitaria, e quindi protezione, contro il virus ricombinante. 

L'esperimento condotto a Whuan ha avuto il merito di evidenziare un continuo e costante rischio di riemergenza dell’epidemia di SARS legato alla circolazione di virus nelle popolazioni di pipistrelli; rischio complicato dal fatto che il sistema immunitario non è in grado di dare una risposta specifica contro il patogeno [2] (ne abbiamo parlato qui). 

Insieme allo studio finora descritto, esistono altre evidenze che alcuni ceppi di Coronavirus, naturalmente presenti nei pipistrelli ferro di cavallo, sono in grado di legare efficientemente il recettore ACE2 umano. Per fortuna, però, questa eventualità è poco frequente: quasi tutti i Coronavirus dei pipistrelli non sono in grado di farlo e quindi non sono in grado di causare infezioni nell’uomo [3]. 


PERCHÉ È MOLTO PIÙ PROBABILE CHE QUESTO VIRUS DERIVI DA UN AVVENIMENTO NATURALE PIUTTOSTO CHE ARTIFICIALE 
Come abbiamo detto qui, i virus mutano (e ricombinano) naturalmente, e grazie a queste peculiarità possono essere in grado di effettuare il salto di specie (ne abbiamo parlato qui). Il virus ad oggi conosciuto che risulta più simile a SARS-CoV2 è il virus RaTG13 del pipistrello ferro di cavallo

Occorre, però, precisare che tra SARS-CoV2 e RaTG13 ci sono più di 1.100 nucleotidi (i mattoni che costituiscono il materiale genetico di una specie) diversi, distribuiti casualmente nel genoma. La casualità della distribuzione dei nucleotidi diversi è indicativa di eventi naturali (le mutazioni) seguendo le caratteristiche evolutive tipiche di tutti i coronavirus.
Dato il gran numero di nucleotidi diversi tra RaTG13 e SARS-CoV2 è improbabile che il pipistrello sia la fonte immediata di SARS-CoV2, ed è per questo che i ricercatori stanno ancora cercando l’ospite intermedio dal quale il virus ha effettuato il salto di specie. Nel caso dell'epidemia di SARS del 2003, il genoma del Coronavirus della civetta della palma e del virus umano SARS-CoV1 differivano per soli 202 nucleotidi, cioè avevano un'identità di sequenza del 99,8%. 

Operando il confronto tra il genoma di SARS-CoV2 e quello del virus costruito nell'esperimento condotto a Whuan è ben evidente che vi sono più di 6.000 differenze nucleotidiche, il che rende estremamente improbabile che il SARS-CoV2 derivi dal virus chimerico oggetto del video di TG3 Leonardo [4]. 

Insomma, il virus costruito in laboratorio avrebbe dovuto mutare per tanto tempo prima di trasformarsi in SARS-CoV2; e in tutto questo tempo non avrebbe mai infettato l’uomo, nonostante ne fosse in grado. Una tale eventualità è evidentemente remotissima.


LE DIFFERENZE CHIAVE TRA I VIRUS IN ESAME 
La parte del Coronavirus che è in grado di interagire con le cellule umane, attraverso il recettore ACE2, è la glicoproteina Spike (S) (Fig.2). 

Fig.2 - Interazione della glicoproteina S (spike) con il recettore umano ACE2 

La proteina Spike di SARS-CoV2 risulta molto più simile, dal punto di vista della sequenza amminoacidica, alla proteina Spike del virus RaTG13 (ne abbiamo parlato qui) circolante nei pipistrelli ferro di cavallo che alla proteina Spike del virus ricombinante SL-SHC014-MA15. Nella Fig.2 sono state messe a confronto le sequenze della proteina Spike di SARS-CoV2, RaTG13, SHC014 e SARS-CoV1 utilizzando uno strumento di bioinformatica, chiamato Blast, che è in grado di allineare le sequenze e quindi confrontarle. Come si può osservare, la percentuale di identità (ovvero la percentuale di “somiglianza”) tra le sequenze, indicata nella colonna “Per. Ident”, risulta notevolmente più alta (97.41%) per la proteina di RaTG13 che per le proteine di SHC014 (77.31%) e SARS-CoV1 (75.96%) (Figura 2). 

Fig.2 - Confronto tra le sequenze proteiche della proteina Spike di a) SARS-CoV2; b) RaTG13; c) SHC014; d) SARS-CoV1.

Nella proteina Spike esiste un dominio chiamato “dominio legante il recettore” (RBD, dall'inglese Receptor Binding Protein), considerato la parte più variabile del genoma dei Coronavirus (ovvero la parte che muta più frequentemente, e ne abbiamo parlato qui). Studi biochimici e strutturali hanno dimostrato che il legame al recettore ACE2 umano da parte del virus SARS-CoV2 è reso possibile dalla presenza di 6 aminoacidi in questo dominio: L455, F486, Q493, S494, N501 eY505 (Fig.3) [5]. 
Nonostante l’alta affinità del dominio RDB con il recettore umano ACE2, esso è in grado di legare anche i recettori che presentano un’omologia elevata con ACE2 umano come quelli di furetti, gatti e altri mammiferi  [6].

Le sigle degli amminoacidi
Gli amminoacidi, ovvero i "mattoncini" che formano le proteine, sono indicati con un codice costituito da lettere. Per indicare la loro posizione all'interno della sequenza della proteina in cui essi si trovano, alla lettera segue un numero che rappresenta, appunto, il posto che essi occupano nella catena di amminoacidi che forma la proteina. L455, F486, Q493, S494, N501 eY505 si leggono, rispettivamente, così: leucina in posizione 455; fenilalanina in posizione 486; glutammina in posizione 493; serina in posizione 494; asparagina in posizione 501; tirosina in posizione 505.

Omologia
E’ il termine con il quale si indica la somiglianza, sia a livello strutturale che di sequenza (in questo caso si può parlare anche di identità di sequenza), di componenti biologiche come genoma, proteine etc. 


Entrando più nel dettaglio, nella Fig.3 è riportato il confronto tra la sequenza proteica della proteina Spike di SARS-CoV2 e la proteina Spike inserita nel virus ricombinante dell’esperimento condotto nel 2015. Come si può osservare, gli aminoacidi responsabili della fase di aggancio del virus al recettore umano sono sostanzialmente differenti tra le due proteine

Fig.3 - Confronto delle sequenze proteiche tra la proteina Spike di SARS-CoV2 e del virus chimerico creato in laboratorio nel 2015. In giallo sono evidenziati gli aminoacidi responsabili della maggiore affinità di questa proteina per il recettore ACE2 delle cellule epiteliali umane. Query= sequenza della proteina Spike di SARS-Cov2, Sbjct= sequenza della proteina Spike di SHC014 inserita nel virus chimerico dell’esperimento del 2015. In verde il sito di clivaggio di SARS-CoV2, assente in SL-SHC014-MA15.

E’ stato inoltre dimostrato che la sequenza della proteina Spike di SARS-CoV2 ha un sito di taglio (sito di clivaggio) che la divide in due parti conferendole la capacità di formare due subunità (S1 e S2). Questa caratteristica ha un ruolo nel determinare l'infettività virale nell'ospite. Le caratteristiche di questo sito di clivaggio e le sue modificazioni successive (post-traduzionali) non sono mai state riscontrate in altri beta-Coronavirus. E’stato dimostrato che questo taglio migliora la fusione virus -cellula senza influenzare l'ingresso del virus (figura 3) [5]. 

Un’altra prova a favore dell’evoluzione naturale di SARS-CoV2 viene dagli studi computazionali che hanno dimostrato che, nonostante il dominio RBD della proteina Spike di SARS-CoV2 si leghi con alta affinità con il recettore ACE2 umano, l’interazione virus-cellula non risulta essere ottimale. Pertanto, il legame ad alta affinità della proteina Spike SARS-CoV2 con l'ACE2 umano è molto più probabilmente il risultato della selezione naturale, la quale ha consentito alle particelle virali che hanno sviluppato quei cambiamenti “minimi” utili ad infettare l’uomo di farlo. In altre parole, la capacità di agganciare e entrare nelle cellule umane anche in condizioni sub-ottimali depone per l’origine naturale del virus. 

Oggigiorno si hanno a disposizione i migliori strumenti bioinformatici e tecnici per valutare l’interazione tra due proteine al fine di capire quali sono le interazioni migliori e più efficienti. Se il virus fosse stato progettato in laboratorio, avrebbe presentato esattamente gli aminoacidi migliori nei punti chiave della proteina Spike del SARS-CoV2  per il riconoscimento ideale del recettore [5]. 

Bioinformatica
Scienza che studia la biologia molecolare e le interazioni molecolari attraverso tools e software informatici. 


L'evoluzione dei virus è graduale poiché esso accumula progressivamente mutazioni nel tempo. Diversamente, i costrutti sintetici, cioè creati in laboratorio, in genere usano una “spina dorsale” proveniente da un virus già noto sulla quale si inseriscono dei "cambiamenti" mirati e specifici. Tali modifiche (mutazioni) differiscono, quindi, da quelle che si verificano in natura in modo casuale durante la replicazione del virus [4]. 

Possiamo infine concludere che un'ipotetica generazione di SARS-CoV2 attraverso colture cellulari (in vitro) o in animali (in vivo) avrebbe richiesto l'isolamento preventivo di un virus progenitore con somiglianza genetica molto elevata, ma questa eventualità non risulta essere descritta a livello mondiale [5]. 


REFERENZE

2. Menachery VD, Yount BL Jr, Debbink K, et al. A SARS-like cluster of circulating bat coronaviruses shows potential for human emergence [published correction appears in Nat Med. 2016 Apr;22(4):446]. Nat Med. 2015; 21:1508–1513.

3. Ge XY, Li JL, Yang XL, et al. Isolation and characterization of a bat SARS-like coronavirus that uses the ACE2 receptor. Nature. 2013; 503:535–538.

4. Shan-Lu Liu, Linda J. Saif, Susan R. Weiss & Lishan Su. No credible evidence supporting claims of the laboratory engineering of SARS-CoV-2. Emerging Microbes & Infections. 2020; 9:505-507.

5. Andersen, K.G., Rambaut, A., Lipkin, W.I. et al. The proximal origin of SARS-CoV-2. Nat Med. 2020.

6. Wan, Y., Shang, J., Graham, R., Baric, R. S. & Li, F. J. Virol. 2020.

martedì 24 marzo 2020

COVID-19, IL PUNTO SULLE TERAPIE aggiornato al 24.03.2020


Il trattamento delle malattie, in generale, è rivolto ad eliminarne sia i sintomi sia la causa. Non sempre è possibile perseguire entrambi gli obiettivi e non sempre ciò può avvenire utilizzando un unico farmaco. Ad esempio, per le malattie multifattoriali e genetiche non è possibile eliminare la causa, ma si può agire sui sintomi eliminandoli o riducendoli.

Nel caso delle malattie infettive però è possibile disporre di farmaci che abbiano entrambe le funzioni perché vi è un agente eziologico noto. Infatti, i sintomi dell'infezione scompaiono una volta reso inoffensivo il patogeno. Per sviluppare e successivamente impiegare questi farmaci è necessario che siano avvenuti una serie di passaggi:
  • identificazione ed isolamento del patogeno (ricerca di base);
  • studi mirati a comprendere i meccanismi biologici del patogeno (ricerca di base);
  • individuazione di molecole potenzialmente efficaci per rendere inoffensivo il patogeno (studi pre-clinici);
  • sperimentazione in laboratorio, sia in vitro sia in vivo, delle molecole identificate (studi pre-clinici);
  • sperimentazione clinica della molecola più efficace e sicura (studi o trial clinici).
Tutto ciò richiede non poco tempo, si tratta generalmente di anni (tra i 10 e i 15).

Evidentemente, un'epidemia causata da un nuovo patogeno non concede i tempi sufficienti ad effettuare le ricerche di laboratorio, le sperimentazioni pre-cliniche e i trial clinici.

Non potendo avere farmaci specifici (antivirali) per contrastare l'infezione di un nuovo virus, come SARS-CoV2, dobbiamo ricorrere a farmaci che già abbiamo e provare sul campo se essi funzionano.

Le terapie attuali per la COVID-19 consistono in:
  • supporto ventilatorio, somministrazione di liquidi e farmaci per ridurre i sintomi, cose che nei casi lievi e moderati sono sufficienti per aiutare l'organismo finché non avrà debellato il virus;
  • e terapie sopracitate, antibiotici per trattare infezioni batteriche concomitanti e terapie sperimentali con farmaci utilizzati per trattare altre infezioni o malattie [1].
La lista (qui e qua) delle terapie sperimentali che si stanno testando è lunga e, ovviamente, la scelta dei farmaci impiegati si basa su precedenti evidenze cliniche e studi condotti in laboratorio. I farmaci individuati appartengono a diverse classi come gli antivirali e gli immunomodulatori.


FARMACI ANTIVIRALI

I farmaci antivirali hanno lo scopo di bloccare la replicazione del virus e quindi di eliminare la causa della malattia e dei suoi sintomi.

Come funzionano gli antivirali?
Gli antivirali sono una classe eterogenea di farmaci poiché tutte le fasi del processo di replicazione virale costituiscono potenziali bersagli d'azione dei farmaci antivirali.

Per la trattazione del ciclo replicativo virale rimandiamo a questa pagina del blog.

Ricapitolando brevemente, il ciclo replicativo di un virus consta di varie fasi:
  • attacco e penetrazione nella cellula;
  • liberazione del genoma virale;
  • replicazione del genoma virale;
  • sintesi delle proteine virali e loro successive modificazioni;
  • assemblaggio delle componenti del virione;
  • liberazione dei nuovi virus dalla cellula infettata.
Nella figura che segue (Fig.1) è descritto il ciclo replicativo dei virus ad RNA, come SARS-CoV2.

Fig.1 – A) Ciclo replicativo virale. B) Replicazione del genoma e sintesi delle proteine

Ciascuna di queste fasi è resa possibile dall'azione di molecole virali e cellulari. Perciò bloccandole selettivamente si può impedire al virus di continuare a replicarsi.

Dalla conoscenza profonda dei meccanismi biologici, grazie alla ricerca di base, si può derivare la scoperta di molecole utilizzabili come farmaci. Ad esempio, l'attacco del virus alla cellula avviene grazie all'interazione di specifiche proteine di superficie del virus e della cellula. Individuando e studiando la struttura di queste proteine si possono scoprire e produrre delle molecole in grado di legarsi o alla proteina virale o a quella cellulare, impedendo quindi l'interazione virus-cellula e la successiva infezione.

Il meccanismo d'azione dell'antivirale, quindi, dipende dalla fase del ciclo replicativo virale individuata come bersaglio e dalla specifica molecola che si vuole inibire.


Non avendo il tempo di sviluppare e usare farmaci antivirali specifici si è dovuto pensare a quelli già disponibili. Tra questi si è pensato, ad esempio, di ricorrere a farmaci impiegati per la terapia dell'infezione prodotta da SARS-CoV1 (il virus che causò la SARS nel 2003), data la sua somiglianza con il nuovo Coronavirus, cioè la combinazione di lopinavir e ritonavir. Questi ultimi, in realtà, sono farmaci approvati per il trattamento dell'HIV [2, 3]. 
Recentemente è stato pubblicato uno studio che riferisce sull'efficacia di questa terapia [4], il quale non evidenzia risultati favorevoli. Tuttavia, è opportuno sottolineare che si tratta di un singolo studio, condotto su un numero piccolo di pazienti (circa 200). Perciò tale risultato è ben lontano dall'essere considerato definitivo. Servono ultriori studi e possibilmente anche delle metanalisi per aumentare l'affidabilità dei risultati. Le metanalisi sono degli studi statistici realizzati collezionando diversi lavori scienfici su un argomento e mettendo insieme i loro risultati, aggiustandoli statisticamente per unifromarli. Cosicché si possa ragionare su numeri più grandi, aumentando l'attendibilità rispetto ai singoli studi.
Lopinavir e ritonavir sono farmaci inibitori delle proteasi virali [3].

Proteasi
Le proteasi sono degli enzimi esistenti in tutti gli organismi e che operano dei tagli, in posizione specifica, sulle proteine per controllarne la produzione, maturazione e localizzazione.
Il taglio delle proteine ha diverse funzioni in base al contesto. Ad esempio, nella digestione le proteasi intervengono per "spezzettare" le proteine introdotte con gli alimenti e rendere disponibili all'organismo i loro costituenti.

Nel caso dei virus, le proteasi servono a produrre tutte le proteine virali. Durante il ciclo virale, infatti, vengono prodotte delle pre-proteine lunghissime che sono, in realtà costituite da diverse proteine. Queste ultime vengono "liberate" proprio dalle proteasi, in modo che possano esplicare la loro funzione e produrre nuovi virus.


Sulla base dello stesso principio seguito per lopinavir e ritonavir è stato sperimentato anche un antivirale originariamente sviluppato per il trattamento di Ebola, il remdesivir, che in studi pre-clinici aveva mostrato di essere efficace anche nell'inibire la replicazione di SARS-CoV1 e MERS-CoV [5, 6]. Uno studio recente ha mostrato l'efficacia del remdesivir anche per SARS-CoV2 [7].
Il meccanismo d'azione di questo farmaco consiste nell'inibire la sintesi dell'RNA virale [6]. 

Un altro farmaco ritenuto utile è la clorochina, un anti-malarico usato anche nel trattamento di malattie autoimmuni come l'artrite reumatoide. La clorochina ha un effetto antivirale ad ampio spettro, cioè è capace di inibire la replicazione di diversi tipi di virus, oltre a possedere attività immuno-modulante, potenzialmente utile per aumentare l'azione antivirale. Anche questo farmaco ha mostrato risultati di laboratorio incoraggianti nel bloccare l'infezione da parte di SARS-CoV2 [7].
La clorochina blocca l'infezione virale agendo sulla fase di attacco e di penetrazione del virus, perché impedisce al recettore del virus di essere pienamente funzionale e crea una modificazione del pH (aumentandolo) nelle vescicole che portano il virus all'interno della cellula [7.

Negli ultimi giorni, poi, è stato spesso citato un altro antivirale, il favipiravir (Avigan®). L'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sta vagliando un programma di sperimentazione clinica per la valutazione dell'efficacia e della sicurezza di questo farmaco [8]. Favipiravir è stato stato sviluppato come farmaco anti-influenza, ed è stato approvato in Giappone per quest'applicazione ma limitatamente alla comparsa di nuovi o riemergenti ceppi virali influenzali. Tuttavia, nel corso dell'ultimo decennio è stato sperimentato, prevalentemente in laboratorio, su altri virus ad RNA e ha mostrato uno spettro di efficacia abbastanza ampio. Tra i virus sui quali sono stati condotti gli esperimenti vi sono Ebola, virus del raffreddore, virus respiratorio sinciziale e il virus della rabbia. I trial clinici, invece, sono stati limitati al Giappone e agli Stati Uniti perciò si rendono necessarie ulteriori valutazioni [9].
Il meccanismo d'azione di questo farmaco consiste nell'inibire la sintesi dell'RNA virale [9].

Una buona notizia sul fronte della ricerca di terapie specifiche per bloccare l'infezione di SARS-CoV2 è arrivata il 20 marzo 2020, dalle pagine della rivista scientifica Science [9]. Grazie agli sforzi compiuti per studiare il virus, un gruppo di scienziati ha individuato una molecola che sembra essere in grado di bloccare in modo specifico il virus e non dovrebbe avere effetti tossici sulle cellule umane. La molecola, chiamata b13, inibisce la principale proteasi del virus. Si ottiene in questo modo l'inibizione del ciclo virale e, parallelamente, si garantisce sicurezza per le cellule umane perché non esistono proteasi umane simili a quella di SARS-CoV2. Cioè, non si rischierebbe di inibire anche qualche proteasi umana [10].


FARMACI IMMUNOMODULATORI

I farmaci immunomodulatori agiscono sull'attività del sistema immunitario, riducendola (immuno-soppressore) o aumentandola (immuno-stimolante).

Tra i farmaci immunomodulatori che si stanno utilizzando per trattare la COVID-19 vi è il Tocilizumab, un anticorpo monoclonale impiegato nel trattamento dell'artrite reumatoide. Tale farmaco agisce bloccando i recettori dell'interleuchina 6 (IL-6) [11].

Non trattandosi di un antivirale, tale farmaco non agisce bloccando il virus; esso dovrebbe agire positivamente su un sintomo potenzialmente mortale dell'infezione: la polmonite. Bloccando il recettore dell'IL-6, infatti, le si impedisce di svolgere le sue funzioni, ottenendo la riduzione dell'infiammazione e il miglioramento del quadro clinico di polmonite. Il farmaco è recentemente entrato in sperimentazione in Italia con applicazione per la COVID-19.

IL-6
L'IL-6 è un'interleuchina che in base al contesto può svolgere attività pro-infiammatoria o anti-infiammatoria. Essa promuove l'espansione e l'attivazione dei linfociti T, il differenziamento dei linfociti B, ma agisce anche come un ormone con effetti sul metabolismo lipidico e glucidico, sul sistema neuroendocrino e molto altro. Data la sua importanza come fattore stimolante dei linfociti,  IL-6 agisce proteggendo l'organismo dalle infezioni. Tuttavia, la sua attività può al contempo creare problemi diventando la causa del mantenimento di uno stato infiammatorio continuo (infiammazione cronica), come accade nell'artrite reumatoide e altre malattie autoimmuni. Alti livelli di IL-6 nel tessuto polmonare sono stati associati allo sviluppo di fibrosi polmonare e ipertensione [12]. 

Polmonite
La polmonite è un processo infiammatorio a carico dei polmoni, solitamente dovuto ad infezione batterica o virale, che altera la funzionalità respiratoria in modo direttamente proporzionale alla sua estensione.
L'infezione da parte di SARS-CoV2 causa la polmonite interstiziale, cioè una condizione in cui il processo infiammatorio interessa prevalentemente l'interstizio polmonare. Quest'ultimo è lo spazio compreso tra gli alveoli polmonari, i quali sono dei "sacchetti" che si trovano al termine delle ultime ramificazioni dei bronchi (bronchioli).
Gli alveoli polmonari costituiscono la maggior parte della superficie polmonare e la loro funzione è quella di consentire lo scambio tra l'aria che si trova al loro interno e i gas sciolti nel sangue presente nei capillari che li circondano. In questi ultimi, infatti, fluisce sangue ricco di anidride carbonica che viene "ripulito" e caricato di ossigeno per poi tornare al cuore, il quale pomperà sangue ossigenato nel corpo. Anidride carbonica e ossigeno vengono scambiati tra alveoli e capillari per diffusione, la quale è favorita dal ridottissimo spessore della parete alveolare e dalla vicinanza tra questa e capillari (Fig.2).
L'infiammazione dell'interstizio polmonare causa l'accumulo di cellule infiammatorie e conseguente edema, ovvero aumento del volume del tessuto per l'accumulo di cellule e liquidi. Questo provoca i sintomi come dispnea (respirazione faticosa o dolorosa) e tosse. L'edema polmonare determina l'allontanamento tra la parete degli alveoli e dei capillari, riducendo la diffusione dell'ossigeno nel sangue. L'ossigeno non è molto solubile nei liquidi biologici, perciò se aumenta la distanza di diffusione impiega molto più tempo per percorrerla. La diffusione dell'anidride carbonica invece, non è così influenzata dall'aumento della distanza tra parete alveolare e capillari. La riduzione dell'ossigeno nel sangue porta con sé una serie di problemi gravi poiché esso è necessario a far funzionare ogni cellula dell'organismo. Se l'infiammazione continua e diventa cronica può verificarsi un ulteriore danno all'interstizio chiamato fibrosi. Cioè la deposizione di tessuto cicatriziale (come cicatrici) che aumenta lo spessore della parete alveolare rallentando ulteriormente lo scambio gassoso. La fibrosi è un processo irreversibile, perciò esso compromette la funzionalità dei polmoni per tutta la vita, distruggendo progressivamente la funzionalità degli alveoli.

Fig.2 - Struttura di bronchi e alveoli. Immagine da: D.U. Silverthon. Fisiologia: un approccio integrato. Casa Editrice Ambrosiana. Seconda edizione, 2005.

REFERENZE
  1. World Healt Organization (WHO). Clinical management of severe acute respiratory infection (SARI) when COVID-19 disease is suspected: Interim guidance V 1.2. 13 March 2020
  2. Chu CM, Cheng VC, Hung IF, Wong MM, Chan KH, Chan KS, Kao RY, Poon LL, Wong CL, Guan Y, Peiris JS, Yuen KY; HKU/UCH SARS Study Group. Role of lopinavir/ritonavir in the treatment of SARS: initial virological and clinical findings. Thorax. 2004;59:252-6
  3. Kim UJ, Won EJ, Kee SJ, Jung SI, Jang HC. Combination therapy with lopinavir/ritonavir, ribavirin and interferon-α for Middle East respiratory syndrome. Antivir Ther. 2016;21:455-9
  4. Cao B, Wang Y, Wen D, Liu W, Wang J, Fan G, Ruan L, Song B, Cai Y, Wei M, et al. A Trial of Lopinavir-Ritonavir in Adults Hospitalized with Severe Covid-19. N Engl J Med. 2020.
  5. Warren TK, Jordan R, Lo MK, Ray AS, Mackman RL, Soloveva V, Siegel D, Perron M, Bannister R, Hui HC, et al. Therapeutic efficacy of the small molecule GS-5734 against Ebola virus in rhesus monkeys. Nature. 2016;531(7594):381-5
  6. Sheahan TP, Sims AC, Graham RL, Menachery VD, Gralinski LE, Case JB, Leist SR, Pyrc K, Feng JY, Trantcheva I, et al. Broad-spectrum antiviral GS-5734 inhibits both epidemic and zoonotic coronaviruses. Sci Transl Med. 2017;9(396). pii: eaal3653
  7. Wang M, Cao R, Zhang L, Yang X, Liu J, Xu M, Shi Z, Hu Z, Zhong W, Xiao G. Remdesivir and chloroquine effectively inhibit the recently emerged novel coronavirus (2019-nCoV) in vitro. Cell Res. 2020; 30:269-271
  8. https://www.aifa.gov.it/-/favipiravir-aggiornamento-della-valutazione-della-cts
  9. Shiraki K, Daikoku T. Favipiravir, an anti-influenza drug against life-threatening RNA virus infections. Pharmacol Ther. 2020 Feb 22:107512
  10. Zhang L, Lin D, Sun X, Curth U, Drosten C, Sauerhering L, Becker S, Rox K, Hilgenfeld R. Crystal structure of SARS-CoV-2 main protease provides a basis for design of improved α-ketoamide inhibitors. Science. 2020; eabb3405.
  11. Markatseli TE, Theodoridou A, Zakalka M, Koukli E, Triantafyllidou E, Tsalavos S, Andrianakos A, Drosos A. Persistence and Adherence during the First Six Months of Tocilizumab Treatment Among Rheumatoid Arthritis Patients in Routine Clinical Practice in Greece. Results from the Single Arm REMISSION II Study (NCT01649817). Mediterr J Rheumatol. 2019; 30:177-185
  12. Hunter CA, Jones SA. IL-6 as a keystone cytokine in health and disease. Nat Immunol. 2015; 16:448-57


giovedì 19 marzo 2020

SARS-CoV2, INFORMAZIONI INESATTE E CONSIGLI INUTILI O POTENZIALMENTE DANNOSI


In alcuni testi o file audio e video che circolano, attribuiti a professionisti sanitari o ricercatori nel tentativo di farli passare per attendibili, sono concentrate molte inesattezze e false credenze. Il rischio di fidarsi di informazioni sbagliate è di assumere comportamenti errati.

Di seguito daremo una spiegazione scientifica idonea a contrastare la diffusione di alcune «bufale».

 

Le dimensioni di SARS-CoV2 e l’utilizzo delle mascherine
Circola un messaggio in cui si indicano le dimensioni del virus, sbagliando di parecchio. Nel testo si riferisce: «il coronavirus è piuttosto grande (diametro di circa 400-500 nanometri), quindi ogni tipo di mascherina può fermarlo; non servono, nella vita normale, mascherine speciali.»
Perché tutto ciò è scorretto? Quali osservazioni fare a riguardo?
SARS-CoV2 è un virus di dimensione pari a 125 nm [1], e ciò dovrebbe essere sufficiente a far cestinare il messaggio. Per comprendere perché non tutte le mascherine sono adeguate ad offrire il giusto livello di protezione rimandiamo alla sezione L’utilizzo delle mascherine.


Il tempo di permanenza di SARS-CoV2 sulle superfici e gli oggetti
Nel messaggio sopracitato si legge anche: «Quando il virus si trova su superfici metalliche, sopravvive per circa 12 ore. Quindi, quando toccate superfici metalliche come maniglie, porte, elettrodomestici, sostegni sui tram, ecc., lavatevi bene le mani e disinfettatele con cura. Il virus può vivere annidato nei vestiti e sui tessuti per circa 6/12 ore: i normali detersivi lo possono uccidere. Per gli abiti che non possono essere lavati ogni giorno, se potete esponeteli al sole e il virus morirà.»

Perché tutto ciò è scorretto? Quali osservazioni fare a riguardo?
  • non si capisce perché solo le superfici metalliche e i tessuti dovrebbero essere interessati dalla contaminazione virale, nessun materiale è immune dalla deposizione di patogeni;
  • non disponiamo ancora di dati certi per SARS-CoV2. La differenza nel tempo di permanenza dei virus al di fuori di un ospite dipende dalle specifiche caratteristiche virali, così come dai fattori ambientali (temperatura e umidità). I coronavirus già noti possono rimanere attivi sulle superfici e sugli oggetti per un tempo compreso tra diversi minuti e diversi giorni [2]. L’informazione data nel messaggio, che fissa il tempo di sopravvivenza del virus fuori dall’organismo a 6/12 ore è senza fondamento scientifico. Gli studi sono ancora in corso e potrebbero rivelare un tempo di permanenza minore di 6 ore o maggiore di 12, così come tempi diversi in base al materiale della superficie [3];
  • esporre gli abiti al sole NON disattiva il virus, per la spiegazione si rimanda alla sezione successiva.

La temperatura alla quale SARS-CoV2 si disattiva e il consumo di bevande calde
Frequentemente si legge e sente che il virus non resiste alle temperature elevate, il che è corretto. Il punto è quanto alta deve essere la temperatura per inattivare il virus? Alcuni testi, audio e video circolanti indicano che è sufficiente una temperatura di 26-27°C. Partendo da questo presupposto, si consiglia di esporsi al sole e di consumare spesso bevande calde perché sarebbero in grado di neutralizzare il virus.
Perché tutto ciò è scorretto? Quali osservazioni fare a riguardo?
  • in condizioni di riposo, la temperatura corporea interna di individui umani sani è circa 37°C. Poiché il virus è in grado di infettare gli umani, è evidentemente ancora attivo  alla temperatura di 37°C. Per reagire all’infezione, il sistema immunitario produce un incremento termico (la febbre) che altro non è che un meccanismo di difesa per tentare di inattivare il patogeno ed eliminarlo;
  • esporsi al sole non incrementa la temperatura corporea in misura tale da disattivare un virus;
  • i virus possono impiegare diversi minuti, ma non ore, per attaccarsi e penetrare nella cellula ospite [4-6]. Una volta penetrato, non si può certo disattivare il virus bevendo una tazza di tè o brodo caldo. A meno di bere senza sosta bevande alla temperatura di 60-70°C (cosa che produrrebbe un danno alla mucosa dell’esofago, con aumento di rischio di cancro esofageo [7,8]) per bloccare il virus prima che entri nelle cellule, il consiglio che circola è decisamente inutile. Allo stesso modo, non è corretto pensare che bere frequentemente bevande calde determini un aumento della temperatura corporea tale da eliminare il virus.
In conclusione, bere moltissime bevande calde durante il giorno NON rende immuni a contrarre infezioni.

Resta inteso che:
  • una buona idratazione è essenziale nella vita quotidiana poiché partecipa a mantenere in salute l’organismo. Ogni giorno, introduciamo acqua attraverso alimenti e bevande per compensarne la fisiologica eliminazione e rifornire l’organismo di sali minerali (in essa disciolti).
  • Ricordiamo che l’acqua è un costituente cellulare indispensabile, e svolge numerose funzioni nell’organismo, tra cui il trasporto di sostanze nutritive, la partecipazione a reazioni metaboliche, la regolazione della temperatura corporea e lo smaltimento delle scorie metaboliche;
  • esponendosi al sole per diversi minuti al giorno si produce Vitamina D (Vit.D). La Vit.D svolge molte funzioni nell’organismo, ed è anche implicata nel mantenimento dell’efficienza del sistema immunitario. Ciò non significa che sia giustificato estremizzare e ricorrere a integrazione di Vit.D in questo momento o aumentare drasticamente il consumo dei prodotti più ricchi di questa vitamina [9]. 

La terapia di COVID-19 a base di Vitamina C
In un audio circolato si riferiva che la somministrazione di Vitamina C (Vit.C) fosse molto efficace per curare i pazienti. Nell’audio si invitava a diffondere il messaggio il più possibile e a ricorrere all’utilizzo di un integratore alimentare per assumere 1-2 grammi di Vit. C al giorno, indistintamente per bambini, adulti e anziani, a scopo preventivo.

Perché tutto ciò è scorretto? Quali osservazioni fare a riguardo?
  • nell’audio venivano citati l’Ospedale Sacco di Milano e uno specifico integratore di Vit.C. Sia l’Ospedale Sacco che l’azienda produttrice dell’integratore hanno prontamente smentito quanto riferito nel messaggio [10];
  • un’infezione e la patologia da essa prodotta non si possono curare esclusivamente con un integratore. Quest’ultimo è un prodotto di sostegno all’organismo, utile in casi di carenza di un nutriente o come adiuvante delle terapie di comprovata efficacia, ma non può sostituirsi ad esse;
  • il fabbisogno giornaliero dei nutrienti, tra cui anche le vitamine, non è uguale per tutte le età, perciò si possono verificare fenomeni di tossicità; la Vit.C in eccesso può interferire con i farmaci così come causare effetti avversi a livello gastrointestinale e renale;
  • la Vit C svolge funzioni benefiche per l’organismo, come quella antiossidante, rinforza il sistema immunitario, in alcuni casi può ridurre la frequenza e la durata del raffreddore e, da molti anni, si studia il suo utilizzo come adiuvante di terapie farmacologiche [9], ma non c’è nessuna evidenza scientifica sulle capacità curative che la Vit C avrebbe su pazienti affetti da sindromi respiratorie severe; sicuramente ulteriori studi sono necessari per testare nuovi protocolli d'impiego della Vit C in ausilio delle attuali terapie [12].

Integratori alimentari
Gli integratori sono «i prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate» (Direttiva 2002/46/CE, attuata con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169).
Essi dovrebbero essere assunti quando ve ne è reale necessità e sotto consiglio e supervisione di un professionista sanitario legittimato a valutare lo stato di nutrizione. L’impiego per decisione autonoma del consumatore comporta dei rischi legati all’utilizzo inadeguato (ad esempio interazione con farmaci o sovradosaggi che possono causare intossicazione).
Gli integratori non possono sostituirsi ad un’alimentazione sana, completa, varia ed equilibrata, la quale, in condizioni di buona salute, è sufficiente a garantire tutti i nutrienti di  cui l’organismo necessita, aiutando a prevenire lo sviluppo di alcune patologie ed eventualmente delle loro complicanze.

REFERENZE
  1. Fisher D, Heymann D. Q&A: The novel coronavirus outbreakcausing COVID-19. BMC Med. 2020;18(1):57.  
  2. Kampf G, Todt D, Pfaender S, Steinmann E. Persistence of coronaviruses on inanimate surfaces and theirinactivation with biocidal agents. J HospInfect. 2020;104(3):246-251.
  3. Ng ML, Tan SH, See EE, Ooi EE, Ling AE. Early events of SARS coronavirus infection in vero cells. J MedVirol. 2003;71(3):323-31.
  4. van Doremalen N, Bushmaker T, Morris D, Holbrook M, Gamble A, Williamson B, Tamin A, Harcourt J, Thornburg N, Gerber S,  Lloyd-Smith J, de Wit E,  Munster V. Aerosol and surface stability of HCoV-19 (SARS-CoV-2) compared to SARS-CoV-1. medrxiv. 2020.03.09.20033217
  5. Brandenburg B, Lee LY, Lakadamyali M, Rust MJ, Zhuang X, Hogle JM. Imaging poliovirus entry in live cells. PLoS Biol. 2007;5(7):e183.
  6. Coffin JM, Hughes SH, Varmus HE, editors. Retroviruses. Viral Entry and Receptors. Membrane Fusion and Viral Entry. Cold Spring Harbor (NY): Cold Spring Harbor Laboratory Press; 1997.
  7. IARC Working Group on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans. Drinking Coffee, Mate, and Very Hot Beverages. Lyon (FR): International Agency for Research on Cancer; 2018. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans.
  8. Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (AIRC).https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/corretta-informazione/bevande-calde-te-caffe-mate
  9. Gombart AF, Pierre A, Maggini S.A Review of Micronutrients and the Immune System-Working in Harmony to Reduce the Risk of Infection. Nutrients. 2020;12(1). pii: E236.
  10. https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/03/11/coronavirus-catena-chat-vitamina-fake-news_ZzDgLnQG58ztZQL5NYtcHM.html?refresh_ce
  11. Arabi YM, Fowler R, Hayden FG. Critical care management of adults with community-acquired severe respiratoryviralinfection. IntensiveCare Med. 2020; 46(2):315-328.  
 

COSA SAPPIAMO DELL'ORIGINE DI SARS-CoV2


Il virus SARS-CoV2 ha dei progenitori molto simili a se stesso dal punto di vista molecolare. Tra questi ritroviamo in primo luogo il virus RaTG13, un coronavirus identificato nel 2013 nel pipistrello con il quale condivide circa il 96% di somiglianza genomica (identità).

SARS-CoV2 risulta anche molto simile, sebbene con minore identità di sequenza, con i virus:
  • SARS-CoV1, che tra novembre 2002 e luglio 2003 si è diffuso in tutto il mondo provocando oltre 8000 casi e 774 decessi, con un tasso di mortalità del 9-11% circa, trasmissibile da uomo ad uomo;
  • MERS-CoV, che nel 2012 fu responsabile di più di 8000 contagi e 800 morti [1-3] (Fig.7).
Mentre SARS-CoV1 si diffuse efficacemente da un essere umano all'altro, le infezioni da MERS-CoV umane erano generalmente il risultato di zoonosi indipendenti (trasmissioni da animale a uomo) da dromedari [4]. Ciò ha limitato la sua diffusione prevalentemente nella Penisola Arabica.

Fig.7 Comparazione dei genomi di riferimento di SARS-CoV2 (query), SARS-CoV2 isolato allo Spallanzani di Roma, RaTG13, SARS-CoV1 e MERS-CoV. La colonna «Per. Ident.» riferisce la percentuale di identità di ciascuno dei genomi considerati rispetto a quello di SARS-CoV2.
I coronavirus infettano un'ampia gamma di animali, e le epidemie umane sopra descritte sono il risultato di uno o più "salti" da questi serbatoi virali nella popolazione umana (salto di specie). Si ritiene che SARS-CoV1 sia arrivato agli umani dai pipistrelli del genere Rhinolophus (a ferro di cavallo)  attraverso la Paguma larvata (civetta delle palme mascherata) come ospite intermedio;  anche la  MERS sembra derivi dai pipistrelli e abbia sfruttato il dromedario come ospite intermedio [2,3,5].

Per quando riguarda SARS-CoV2, la sua filogenesi ci riporta a RaTG13 del pipistrello ma è ancora sconosciuto l’ospite intermedio che ha permesso al virus il “salto di specie” dal pipistrello all’uomo [6-8] (Fig.8).

Diversi studi sostengono che l’ospite intermedio possa essere il pangolino. Questa ipotesi è da verificare in quanto in Genebank, database in cui tutti i ricercatori mondiali depositano le sequenze genomiche di diversi organismi, il genoma del coronavirus del pangolino non è completa [5].

Trovare l'ospite intermedio di SARS-CoV2 aiuterebbe a:

  • prevenire la diffusione dell’epidemia e il verificarsi di una seconda epidemia;
  • comprendere meglio le modalità con cui è avvenuto il “salto di specie”.

Fig.8 Filogenesi di SARS-CoV2. Tratta da GISAID https://www.gisaid.org/

Salti di specie e filogenetica
I salti delle specie virali (chiamati anche salti di ospite) si verificano quando un virus acquisisce la capacità di infettare e quindi di diffondersi tra gli individui di una nuova specie ospite. Esempi storici di virus animali che sono saltati nell'uomo, oltre a SARS-CoV1 e a MERS-CoV, sono HIV, Ebola  e il virus dell'influenza A. 

La filogenetica è lo studio della storia evolutiva di una specie, grazie alla quale si possono comprendere le relazioni di parentela tra specie diverse attualmente esistenti e specie esistite in passato. Le tecniche di biologia molecolare consentono di studiare le sequenze delle molecole e dei genomi, costituendo un grande vantaggio per la costruzione degli alberi filogenetici (i diagrammi a rami che evidenziano le relazioni di parentela tra le specie). I genomi virali possono essere agevolmente confrontati viste le loro ridotte dimensioni. Una volta isolato un nuovo virus, è possibile sequenziare (“leggere”) il suo genoma e confrontarlo con quello di altri virus noti o di nuova identificazione.
 
Come avviene il salto di specie?
I passaggi coinvolti nei trasferimenti di virus a nuovi ospiti includono:
la generazione di varianti virali per il sopraggiungere di mutazioni, che hanno la capacità di diffondere efficientemente tra individui della nuova specie ospite;
il contatto tra il virus e il nuovo ospite;
l'infezione di un individuo iniziale che porta all'incremento delle particelle virali.

In questi casi possono originarsi focolai devastanti [6].
Bisogna tener conto che i recettori e le proteine virali che ad essi si legano possono interagire solo se le rispettive strutture tridimensionali ”combaciano” alla perfezione, come una chiave nella serratura. L’interazione tra le molecole, quindi, è specifica.

I virus, replicandosi, accumulano spontaneamente e casualmente mutazioni nel proprio genoma. Ciò può cambiare la struttura tridimensionale delle proteine virali, che potrebbero così risultare “più compatibili” con i recettori di un ospite diverso rispetto a quello originario.

Quando è frequente il contatto tra ospite originario e nuovo ospite può accadere che i virus mutati riescano ad entrare nelle cellule del secondo. Ne consegue che più simili sono i recettori cellulari di specie diverse, meno mutazioni deve accumulare il virus per poter effettuare il salto di specie.


Mutazioni
Durante la replicazione del genoma (cioè la creazione di copie del materiale genetico) si producono degli errori, definiti mutazioni. I virus, a differenza delle cellule, non possiedono dei meccanismi per correggere gli errori e questo porta ad un alto tasso mutazionale.

Le mutazioni sono eventi casuali che si trasmettono di generazione in generazione, sommandosi a quelle nuove. Tracciando le mutazioni, quindi, possiamo ricostruire la filogenesi di un organismo o un virus.


In questo momento le sequenze genomiche del virus isolati da persone infette vengono costantemente aggiunte, da tutto il mondo, in databases scientifici specifici (Genebank).
Utilizzando come sequenza di riferimento la sequenza ottenuta a Whuan (primo epicentro epidemico), e confrontando con essa le sequenze dei virus ottenute dai tamponi del resto del mondo, è possibile osservare la loro correlazione grazie alle mutazioni accumulate nel tempo dal virus. Tutti i campioni finora sequenziati sono ancora strettamente correlati (hanno cioè accumulato poche mutazioni), suggerendo un antenato comune che ha effettuato il salto di specie tra novembre-dicembre 2019 [6,8,9].


REFERENZE
  1. Zhou P, Yang XL, Wang XG, Hu B, Zhang L, Zhang W, Si HR, Zhu Y, Li B, Huang CL, Chen HD, Chen J, Luo Y, Guo H, Jiang RD, Liu MQ, Chen Y, Shen XR, Wang X, Zheng XS, Zhao K, Chen QJ, Deng F, Liu LL, Yan B, Zhan FX, Wang YY, Xiao GF, Shi ZL. A pneumonia outbreakassociated with a new coronavirus of probablebatorigin. Nature. 2020; 579(7798):270-273. doi: 10.1038/s41586-020-2012-7.
  2. Liu Z, Xiao X, Wei X, Li J, Yang J, Tan H, Zhu J, Zhang Q, Wu J, Liu L. Composition and divergence of coronavirus spikeproteins and host ACE2 receptors predictpotential intermediate hosts of SARS-CoV-2. J MedVirol. 2020.
  3. Ashour HM, Elkhatib WF, Rahman MM, Elshabrawy HA. Insights into the Recent 2019 Novel Coronavirus (SARS-CoV-2) in Light of Past Human Coronavirus Outbreaks. Pathogens. 2020; 4;9(3). pii:E186. 
  4. Dudas G, Carvalho LM, Rambaut A, Bedford T. MERS-CoVspilloverat the camel-human interface. Elife. 2018;7. pii: e31257.
  5. Banerjee A, Misra V, Mossman K. Bats and Coronaviruses. Viruses. 2019; 11(1):41.
  6. Li C, Yang Y, Ren L. Geneticevolutionanalysis of 2019 novel coronavirus and coronavirus from otherspecies. Infect Genet Evol. 2020;82:104285.
  7. Parrish CR, Holmes EC, Morens DM, Park EC, Burke DS, Calisher CH, Laughlin CA, Saif LJ, Daszak P. Cross-species virus transmission and the emergence of new epidemic diseases. Microbiol Mol Biol Rev. 2008;72(3):457-70. doi: 10.1128/MMBR.00004-08.
  8. Phylogeneticanalysis, http://virological.org/t/phylodynamic-analysis-90-genomes-12-feb-2020/356
  9. Gisaid.Genomicepidemiology of hCoV-19. https://www.gisaid.org/epiflu-applications/next-hcov-19-app/